Augusto Ressa
Centri storici e Paesaggi - Discontinuità e armonie nei processi di trasformazione
Abstract
I Borghi e i centri storici ci interessano oggi, soprattutto in quanto straordinari risultati corali nel costruire i luoghi di vita delle comunità che li abitano.
La presenza di questi insediamenti è particolarmente diffusa nel territorio italiano, il più delle volte frutto di stratificazioni che hanno saputo coniugare il presente con il passato attraverso una continuità linguistica e di progetto in cui la bellezza e l’armonia hanno costituito componenti imprescindibili.
L’armonia che pervade questi luoghi, si trasmette alla qualità della vita dei residenti, ed è alla base della capacità di attrazione esercitata sui visitatori occasionali.
La visione dei borghi e dei centri storici dal loro interno, non va disgiunta da quella rivolta al contesto in cui si collocano, ed al loro immediato intorno. Nel concetto di Paesaggio italiano, così fortemente antropizzato, è inclusa la presenza degli insediamenti umani, delle città e dei borghi, la cui visione va estesa a punti di osservazione esterni per un ampio raggio di distanza.
Il controllo dei processi di trasformazione di siffatti insediamenti, con riferimento alle espansioni edilizie, appare di più complessa attuazione rispetto a quello esercitato dal loro interno. Non sempre all’armonia percepibile dall’interno dei centri storici, infatti, fa riscontro un’analoga armonia nella visione degli stessi nel paesaggio, specie in ragione dei massicci interventi edilizi realizzati a partire dagli anni ’60 al loro intorno.
Centri storici come Martina Franca e Mottola, in provincia di Taranto, o come Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, sono vittime di una cementificazione che ha in parte circoscritto i nuclei originari, privandoli del rapporto di continuità, ed anche affettivo, con il paesaggio, del quale facevano parte integrante.
Questo rapporto di appartenenza al paesaggio, strettamente legato al concetto di armonia e di bellezza, appare particolarmente esplicito nell’arte figurativa che ha eletto a soggetto pittorico, proprio il paesaggio italiano antropizzato, in particolare nelle opere dei vedutisti del ‘7/ ‘800.
E’ anche vero che la città moderna con le sue espansioni urbane, è stata considerata soggetto da ritrarre: basti pensare al Boccioni delle periferie milanesi o al Sironi dei gasometri. Tuttavia, queste esperienze si riferiscono ad un momento di rottura con il passato e di fiducia nel futuro, che non ha avuto riscontri nella realtà.
I nostri centri storici, i nostri borghi, sono delle realtà fragili. E’ una condizione di debolezza che dipende da scelte miopi di politica urbanistica, dall’incapacità di stabilire una continuità culturale e formale con i nuclei originari, ed anche dovuta alla natura intrinseca delle costruzioni, in mancanza di manutenzione e, infine, è una fragilità dovuta alle calamità naturali, spesso derivanti da un uso dissennato del suolo, i cui effetti, in mancanza di opere preventive sempre invocate, appaiono devastanti.
Frane, alluvioni e terremoti minacciano la conservazione, e la stessa esistenza dei Borghi, dal Nord, al Centro, al Sud Italia. Gli effetti sul paesaggio, ma soprattutto sulla vita dei superstiti, appare desolante. Se osserviamo le modalità attraverso le quali si è affrontata la ricostruzione, con insediamenti provvisori (le cosiddette casette), che sottendono ad un concetto di provvisorietà esteso nel tempo in maniera allarmante, e che generano accampamenti e non insediamenti umani, o se ci soffermiamo a considerare taluni risultati finali ottenuti, appare doveroso assumere, ora, una posizione culturale chiara e inequivocabile.
Mi riferisco per esempio al “Cretto di Burri” per Gibellina, che potrà esser anche una soluzione geniale, e per certi versi poetica, per sbarazzarsi in modo artistico delle macerie di una estesa porzione dell’antico borgo, e delle memorie di una comunità che lì aveva vissuto per generazioni, ma che rappresenta la resa di una società, e di una nazione, di fronte alle calamità che colpiscono innanzitutto la vita e la sfera affettiva dei propri abitanti. Ma anche alle ricostruzioni, o meglio, rifondazioni, a firma di insigni architetti, dal carattere autocelebrativo e totalmente distanti dalla storia e dalle consuetudini delle popolazioni, dalla dimensione umana dei borghi distrutti. Ricostruzioni che hanno prodotto in breve tempo luoghi fantasma, inabitati, abbandonati dai superstiti che in quelle piazze, troppo, inutilmente vaste, in quelle architetture prive di empatia, non si sono riconosciuti. Fra tutti questi fallimenti, l’agorà di Portoghesi per Poggioreale, il teatro di Consagra o la chiesa di Quaroni, o la piazza di Purini a Gibellina.
Orrori ed errori di ieri sui quali abbiamo l’obbligo di riflettere perché non si ripetano.
Curriculum
- Architetto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto
- Ha al suo attivo numerose progettazioni e direzioni lavori di interventi di restauro monumentale nelle province di Taranto, Brindisi e Lecce
- Ha partecipato a convegni regionali e nazionali sul tema del restauro
- Ha curato l’allestimento di mostre di beni storico - artistici presso il Castel del Monte, il Castello Svevo di Bari, il Castello di Copertino, il Castello Aragonese di Taranto, il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, il World Art Museum di Pechino
- E’ presente periodicamente con propri articoli sul restauro monumentale e sulla tutela del paesaggio, in pubblicazioni scientifiche di settore